Il miracolo delle Ande: l'incredibile storia di come 16 persone sopravvissero a uno schianto aereo
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Erano le tre e mezza del pomeriggio del 13 ottobre 1972 quando un aereo Fairchild F-227 dell'aviazione uruguayana diretto verso Santiago del Cile precipitò, a causa di un errore del pilota, a 4000 metri di altezza sulle Ande argentine condannando a morte i suoi passeggeri.
Nonostante le vane ricerche da parte dei mezzi di soccorso, 16 delle 45 persone a bordo erano riuscite a sopravvivere allo schianto; quello che è accaduto nei giorni successivi è una storia incredibile.
A bordo di quello sfortunato aereo c'erano 45 persone, 18 delle quali morirono subito a causa dell'impatto con le montagne che spezzò in due la fusoliera in quello che viene ricordato come il tragico "disastro aereo delle Ande". Dopo i primi 18 morti, altre 11 persone persero la vita per le ferite e per il freddo, ma 16 tra di loro riuscirono a farcela.
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L'aereo sul quale viaggiavano apparteneva all'aviazione uruguayana e aveva il compito di trasportare dei giocatori di rugby a Santiago del Cile. Ma quel 13 ottobre del 1972 la squadra non arrivò a destinazione, schiantandosi tra le innevate Ande.
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Le ricerche proseguirono solo qualche giorno: i passeggeri erano stati dati tutti per morti per la posizione in cui si pensava fosse precipitato l'aereo.
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I soccorritori ritennero infatti che fosse impossibile sopravvivere a delle temperature così estreme senza cibo, e così i superstiti assistettero impotenti alla loro esclusione dal mondo. "Avevamo una radio - racconta Carlos Paez, all'epoca diciottenne - quella dell'aereo, che funzionava solo in ricezione. Potevamo ascoltare ma non potevamo effettuare chiamate".
"La sera del 23 ottobre abbiamo sentito che a Montevideo avevano deciso di interrompere le ricerche. Eravamo ufficialmente morti. Ricordo che stavamo sdraiati in quel che restava della fusoliera per ripararci dal freddo e che Fernando (uno dei superstiti) si alzò e disse: "Vado a mangiarmi il pilota".
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Una decisione dettata dalla disperazione.
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... In realtà tutti noi stavano pensando la medesima cosa da diversi giorni, ma nessuno aveva avuto il coraggio di rompere il tabù, di dirlo. Fernando, insieme a Roberto, che studiava medicina, uscirono dalla fusoliera e dopo qualche minuto tornarono con dei pezzetti finissimi di carne. All'inizio fu orribile, qualcuno si rifiutò di inghiottirli, ma poi dovemmo farlo per forza, per sopravvivere".
Grazie a quella decisione e altri escamotage pensati dal gruppo, i sopravvissuti all'incidente resistettero per ben 72 giorni a temperature vicine ai -40°.
Se per quanto riguardava la scarsezza di cibo i poveri malcapitati ricorsero, loro malgrado, ad un'esasperata forma di cannibalismo, per quanto riguardava l'acqua si organizzarono diversamente.
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"Con la latta dei sedili dell'aereo potemmo procurarci dell'acqua - spiega sempre Carlos - Facevamo sciogliere la neve al sole sui pezzi di lamiera e poi ci dissetavamo. In quelle settimane abbiamo inventato molti oggetti impossibili riciclando quel poco che avevamo, ad esempio siamo riusciti a creare degli occhiali da sole per proteggerci dai raggi solari con la plastica ricavata dai finestrini dell'aereo".
L'incredibile salvataggio.
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I 16 superstiti vennero salvati il 22 dicembre perché due di loro, Roberto Canessa e Fernando Parrado, intrapresero una sorta di spedizione forzata di due settimane fino a valle, in Cile. Quando i due videro un contadino a cavallo dall'altra parte di un fiume, fortunatamente riuscirono a lanciargli un pezzo di carta avvolto intorno a un sasso nel quale spiegavano chi erano e finalmente quello fu il giorno in cui il mondo apprese che c'erano stati dei sopravvissuti.
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"Penso che riuscimmo a sopravvivere perché eravamo un gruppo, una squadra, e perché c'erano dei leader tra noi che decisero come potevamo salvarci. Eravamo tutti ragazzini capricciosi e benestanti costretti a sopravvivere in una situazione estrema. Dopo si diventa umili, ci si allontana anche dalle cose materiali", si confida Carlos Paez.
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E alla gente tentennante riguardo alla loro decisione di cibarsi di cadaveri di uomini, i sopravvissuti hanno risposto che in realtà, chiudendo gli occhi e non pensando che si tratti di essere umano, il gusto della carne è molto somigliante a quello del manzo crudo!
Comunque questa esperienza al confine tra vita e morte insegna che pur di sopravvivere l'essere umano è capace di superare qualsiasi orrore, anche quello di mangiare suoi simili.