Nonostante le radiazioni, gli abitanti di Fukushima iniziano a tornare nelle proprie case
A marzo del 2011, un terremoto di magnitudo 9.0 provocò uno tsunami di onde alte fino a 12 metri, che si andarono a schiantare contro la centrale nucleare di Fukushima Daiichi, a 240 chilometri da Tokyo. L'evento fece oltre 15.000 vittime, ma la gravità dell'accaduto si comprese solo quando dalla centrale si iniziarono a liberare particelle radioattive.
Otto anni dopo quel drammatico incidente, il governo del Giappone ha ritirato quasi tutti gli ordini di evacuazione delle zone circostanti l'impianto: le persone iniziano a tornare nelle loro case ormai invase dalle erbacce, ma c'è il rischio che le cose siano state sbrigate con una fretta ardita.
U.S. Air Force photo by Staff Sgt. Cody H. Ramirez/Released
Nel 2020 il Giappone sarà la dimora dei Giochi olimpici estivi, alcuni dei quali si svolgeranno a meno di 90 chilometri da Fukushima. Entro quella data, il primo ministro giapponese Shinzo Abe vuole ritirare tutti gli ordini di evacuazione.
Davvero l'area incriminata è tornata ad essere abbastanza sicura, tanto da poter accogliere di nuovo adulti, anziani e bambini? La risposta ruota attorno ad un gioco di numeri, di millisievert (mSv) per la precisione – l'unità di misura che indica il danno delle radiazioni sul corpo umano.
Le radiazioni assorbite in un anno per cause naturali – ad esempio per l'esposizione al sole – possono arrivare anche a 3 mSv: la soglia massima tollerata è di 5 mSv – condizione a cui sono stati esposti i pompieri durante l'intervento alla centrale di Chernobyl.
Prima del disastro, il governo giapponese aveva raccomandato una soglia sicura pari a solo 1 mSv: soglia che nei due mesi successivi all'evento è stata portata 20 mSv, l'esposizione massima a cui si devono attenere gli operatori degli impianti nucleari. Queste decisioni affrettate e in controtendenza rispetto a ciò che stabiliscono gli esperti internazionali di sicurezza hanno generato una profonda sfiducia negli abitanti, che ora non si sentono sicuri a tornare.
Tornare, però, non è sempre una scelta: con il rientro di tutti gli ordini di evacuazione decadono anche tutti i sussidi dati agli sfollati. Molti di loro si trovano già in condizioni precarie, avendo sviluppato dipendenza da alcolismo e forme di depressione proprio a causa dell'evacuazione mal gestita: alcuni parlano di spostamenti periodici in mete sconosciute, senza alcuna assistenza sociale. Chi non è riuscito a crearsi una nuova vita o chi non è in condizioni economiche da rinunciare ai sussidi statali è quasi costretto a tornare in luoghi in cui i bambini sarebbero esposti alle stesse radiazioni di un adulto che lavora in una centrale nucleare.
Come soluzione al dilemma se tornare o no sia sicuro, i funzionari giapponesi hanno pensato di spolverare un evento simile, quello di Chernobyl del 1986, affermando che a seguito del rientro con una radiazione di 5 mSv non sono stati segnalati decessi causati dall'esposizione alle radiazioni. Il pericolo, ora, è quello di un attentato alla salute pubblica, per chissà quale secondo fine.
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