La storia del piccolo David Vetter, il bambino vissuto 12 anni in una bolla

di Simone Fabriziani

12 Marzo 2019

La storia del piccolo David Vetter, il bambino vissuto 12 anni in una bolla

Ansia per il futuro, la fine di una relazione, una perdita in famiglia; la vita ci pone da sempre di fronte a eventi e situazioni dure e difficili da affrontare, eppure una delle peggiori è quella di perdere il proprio figlio in tenera età a causa di una malattia incurabile.

La storia della famiglia Vetter e del figlioletto David è breve ma dura, proprio come è stata la vita del bambino affetto da una rarissima malattia autoimmune che lo ha costretto a vivere in una bolla di plastica per tutta la sua esistenza.

via washingtonpost.com

Baylor College of Medicine Photo Archives

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Senza la difesa naturale dell'organismo, qualunque malattia lieve come il catarro o una piccola infezione può causare la morte; proprio per questo i medici decisero di relegare il piccolo David all'interno di una bolla di plastica impedendogli ogni contatto umano. La storia vera di David Vetter ha inoltre ispirato un film del 1976 dal titolo The Boy in the Plastic Bubble.

Texas Children's Hospital

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David è nato il 21 settembre 1971 con la SCID (Sindrome da Immunodeficienza Combinata Severa); i neonati affetti dalla SCID nascono apparentemente sani per poi però perdere progressivamente gli anticorpi ereditati durante il periodo di gravidanza della madre; incapaci di produrre anticorpi propri a causa di una malformazione genetica del midollo osseo, i bambini posso morire nel giro di pochissimi mesi.

Baylor College of Medicine Photo Archives

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La famiglia Vetter aveva già perso il loro secondogenito all'età di sette mesi a causa della stessa malattia e, temendo la medesima prognosi in David, si sono rivolti al Baylor Medical Center del Texas i cui medici hanno "allungato" la vita del neonato di dodici anni costruendo una bolla di plastica completamente sterile in cui posizionare il bambino, lontano dai rischi di infezioni batteriche dell'ambiente esterno.

In meno di dieci secondi dopo la sua nascita, David è stato inserito all'interno della bolla; qualunque oggetto esterno, da un giocattolo al biberon, dovevano passare per un minuzioso processo di sterilizzazione prima di entrare nello spazio vitale di David.

 

 

 

 

 

imgur

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I genitori potevano interagire e toccare il proprio figlioletto attraverso dei guanti di plastica posizionati nella parete esterna della bolla di plastica. 

Come avevano diagnosticato i medici del Texas, David sopravvisse e continuò a vivere e crescere con una certa "normalità" all'interno della casa di plastica, dove non mancavano giocattoli, una televisione e addirittura uno spazio per lo studio e l'educazione. Quando però i medici decisero di portare David a casa all'interno di una bolla più piccola, il bambino scoprì a sue spese la malattia che lo allontanava da ogni contatto umano: il medico aveva dimenticato una siringa all'interno della nuova bolla e David, incuriosito, fece dei fori alla parete di plastica.

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L'incidente portò David a sviluppare preoccupazioni psicologiche eccessive sul pericolo dei germi, alternando fasi di rabbia e fasi depressive. Tali fasi, che fecero preoccupare il team di psicologi di David, non portò però a miglioramenti vista l'impossibilità di trovare una cura adeguata alla sindrome immundepressiva del bambino. Ma la storia di David commosse un paese intero con conseguenze imprevedibili.

Nel 1977 la NASA creò un "vestito-bolla" per David, simile a quello di un astronauta; anche se ingombrante, la famiglia Vetter utilizzò l'abito soltanto sette volte sopratutto a causa del trauma psicologico sviluppato dal bambino nei confronti dei germi.

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Una svolta nella vita di pre-adolescente di David arrivò a 12 anni, quando i medici proposero alla famiglia Vetter un'operazione rivoluzionaria ma ad altissimo rischio: eliminare il midollo osseo del bambino (sede della mancata produzione di linfociti T e B) tramite farmaci e radiazioni, e sostituirlo con quello della sorella donatrice; se il trattamento avesse funzionato, David avrebbe potuto vivere una vita normale.

Il trapianto svoltosi nel 1983 andò a buon fine, eppure a pochi mesi dall'operazione David iniziò a soffrire di episodi severi di febbre alta, diarrea e vomito; trasportato con urgenza in ospedale, David aveva sviluppato il linfoma di Burkitt, un rarissimo tipo di leucemia causato dal virus di Epstein-Barr che lo portò in breve tempo alla morte.

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La breve vita di David, per quanto crudele, non è stata vana: attraverso lo studio della sua condizione, la ricerca scientifica ha fatto passi da gigante nella cura della Sindrome da Immunodeficienza Combinata Severa, permettendo al giorno d'oggi una vita normale a tutti coloro che, come il piccolo David, hanno sofferto e continuano a soffrire di questa rara malattia.