Lotta al bracconaggio: il Kenya vuole introdurre la pena capitale
Il bracconaggio è una delle piaghe degli ultimi due secoli. A causa della mania umana di collezionare oggetti in avorio o di indossare pellicce, molte specie animali si sono estinte o sono oggi a rischio. Per quanto questa forma di caccia sia deplorata da un’altissima percentuale dell’umanità, essa rappresenta ancora un serio problema, soprattutto in Africa. Per questo motivo, negli ultimi anni, gli stati africani si stanno impegnando per debellare questo nefasto fenomeno.
Najib Balala, segretario del Gabinetto per il turismo in Kenya, si è mosso in prima persona per combattere il bracconaggio. La sua lotta ha portato al Wildlife Conservation Act, un provvedimento che condanna i bracconieri a 200.000$ di multa o all’ergastolo, se colti in flagrante. Il provvedimento, secondo le parole dello stesso Balala, non ha risolto ancora il problema: nel 2017 i bracconieri hanno, infatti, ucciso 9 rinoceronti e 69 elefanti, mettendo seriamente a rischio queste specie. L’avorio derivante dall’uccisione di questi animali viene poi venduto soprattutto nei paesi asiatici (Cina e Vietnam in testa). Per questo motivo, il governo keniota sta discutendo una nuova legge che commini la pena capitale ai cacciatori di frodo.
La nuova proposta ha subito allertato le Nazioni Unite. Se, infatti, la lotta al bracconaggio rappresenta una priorità nei paesi africani in cui elefanti e rinoceronti rischiano ogni giorno di non riuscire a rimanere in vita, la pena di morte rappresenta comunque una condanna incivile che va combattuta.
Gli stessi ambientalisti coinvolti nella lotta al bracconaggio hanno richiamato l’attenzione sul fatto che, se è vero che le nuove leggi in Kenya hanno permesso di ridurre il numero di elefanti e rinoceronti a rischio di caccia indiscriminata, tuttavia la lotta alla caccia di frodo può essere vinta anche con la tecnologia e senza ulteriore violenza: già oggi i rangers kenioti sono in possesso di telecamere termiche o a infrarossi che permettono di rintracciare i bracconieri prima che facciano vittime.
Brian Heath, direttore del Mara Conservancy (parte della riserva Maasai Mara in Kenya), ha sottolineato che proprio queste tecnologie hanno fatto desistere i bracconieri dal continuare questo deprecabile lavoro. Il direttore del Mara Conservancy ha inoltre descritto, come esempio virtuoso, il provvedimento del Sudafrica, che ha deciso di trasportare rinoceronti ed elefanti in paesi più sicuri (come il Botswana). Heath ha infine voluto chiarire che molti bracconieri non amano affatto ciò che fanno ma sono costretti a farlo per combattere la povertà in cui vivono.
Il bracconaggio sembra ancora lontano dall’essere debellato. Tuttavia, la pena di morte appare una condanna troppo dura nei confronti di chi non ha altro mezzo di sussistenza. Forse il governo keniota farebbe meglio a rivolgersi alla tecnologia per combattere questo enorme male della società e a cercare il modo di favorire il raggiungimento di uno stile di vita migliore per la propria popolazione.