Il gesto dell'OK ha assunto un significato negativo negli Usa per le sue implicazioni razziste
Ogni giorno adoperiamo il corpo per esprimere messaggi attraverso la comunicazione non verbale. Già con il solo movimento della testa si può comunicare qualcosa agli altri: "sì", "no", "più o meno". Ma è con le mani che esprimiamo la maggior parte dei messaggi non verbali. È possibile che uno dei simboli più utilizzati, come l'OK, da simbolo innocuo e, anzi, positivo, si trasformi in un messaggio di odio? Secondo l'Anti-Defamation League (ADL) è proprio ciò che sta accadendo.
via CNN
Il simbolo dell'OK viene fatto unendo il pollice e l'indice della mano in modo da formare un cerchio e tenendo le altre tre dita in alto. A guardare attentamente, l'impressione è che le tre dita formino una "W" e il cerchio sottostante, unito all'avambraccio, vada a formare una "P". Partendo da questo, un utente anonimo di 4chan (una sorta di chat ampliata in cui ogni utente pubblica ciò che vuole) ha dichiarato che il simbolo dell'OK rappresenta le lettere di "White Power" ovvero "Potere bianco". In questo modo, il significato innocuo di OK (ottimo, perfetto, sto bene) è diventato il simbolo dell'odio razziale.
Quella che sembra sia nata come una fake news è presto diventata una realtà: secondo le ricerche svolte dall'Anti-Defamation League, che si occupa di preservare i diritti umani, molti suprematisti bianchi hanno deciso, a partire dal post anonimo, di utilizzare il simbolo dell'OK proprio come segno del potere bianco. Tra questi Brenton Tarrant, accusato di aver ucciso 51 persone in due moschee della Nuova Zelanda all'inizio del 2019: durante il suo arresto, Tarrant ha mostrato alle telecamere proprio l'OK. Secondo l'ADL, questa ed altre scene apparse sul web hanno fatto schizzare l'OK in testa alla classifica dei simboli dell'odio, insieme alla svastica, agli abiti del Ku Klux Klan e alle croci infuocate.
Da oggi in poi, anche fare l'OK negli Stati Uniti potrebbe rappresentare un problema. Il consiglio è quello di interpretare i messaggi non verbali degli altri sempre a partire dal contesto, per evitare considerazioni fuorvianti.