Tanzania: i Masai vengono allontanati dalle terre d'origine per far spazio ai safari di lusso
Li chiamano "figli della Savana" e, con le loro origini antichissime, sono uno dei popoli più tradizionali, conosciuti e iconici dell'intero Continente africano. Sono i Masai, etnia che vive principalmente tra Kenya e Tanzania, nelle zone che, con la loro bellezza e i loro tesori, sono vive e presenti nell'immaginario di tutti, anche di chi non ci ha mai messo piede.
Tuttavia, quelle terre magnifiche non sono più, da tempo, il "regno" dei Masai, luoghi dove possono vivere e prosperare indisturbati. Da anni, le loro condizioni sono a rischio, così come la loro tranquillità. Ciò è particolarmente vero in Tanzania, nella regione di Loliondo, dove le persone di questa etnia la vita non hanno affatto una vita facile.
I motivi sono purtroppo da rintracciare, anche in questo caso, nella sete di profitto e nella necessità di prevaricazione che alcuni uomini provano sugli altri, al fine di ottenere guadagni sempre maggiori. Vediamo cosa sta succedendo.
via The Guardian
Da anni, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International ha reso noti i problemi dei Masai, cercando di attirare su questo tema la maggiore attenzione possibile. Un gruppo di esperti del centro studi statunitense Oakland Institute, inoltre, ha pubblicato un rapporto secondo cui i Masai si troverebbero letteralmente sotto attacco.
Arresti, sfratti, devastazioni, soprusi e violenze sarebbero infatti all'ordine del giorno nelle zone citate della Tanzania, proprio lì dove i Masai hanno da anni le loro case, i loro villaggi, le loro origini. I centri abitati vengono distrutti e dati alle fiamme, mentre le attività con cui si sostentano vengono impedite, in nome del turismo di lusso.
Anche se messo così può sembrare un po' scontato, il concetto è questo: in Tanzania e in Kenya, la maggior parte dei visitatori si aspetta di vivere escursioni, safari ed esperienze naturalistiche, che non possono essere "intralciate" dalle popolazioni locali e dalle loro usanze. Così, nell'ottica di chi le organizza, è meglio spazzare via tutto ciò che, in quelle terre, è rimasto di tradizionale, per consentire al turismo un florido e redditizio sviluppo.
E i Masai, in tutto questo, vengono confinati in aree sempre più ristrette, quasi fossero degli ospiti scomodi. Se provano a parlare o a organizzare proteste contro i soprusi che subiscono, devono affrontare "arresti, intimidazioni e attacchi fisici". All'origine di questo inquietante fenomeno, ci sarebbero, secondo il rapporto, due compagnie straniere che organizzano safari, una basata negli Stati Uniti e l'altra negli Emirati Arabi.
La cosa che colpisce è che, in nome della "conservazione" del territorio, si utilizzano le apposite leggi nazionali della Tanzania per allontanare uomini, donne e bambini dai loro luoghi d'origine e far spazio a parchi per caccia ed escursioni.
Ma dove sarebbe, allora, la conservazione, se in nome di questo concetto si portano al declino, alla miseria e alla fame tribù, animali e interi villaggi? Forse sarebbe più corretto parlare di "conservazione degli affari", ai danni di chi, per la sua storia e per le sue origini, avrebbe tutto il diritto di vivere e custodire la sua meravigliosa terra.