Una ricerca scopre che la solitudine può modificare il nostro cervello
Paura, diffidenza e aggressività: un gruppo di ricercatori americani ha scoperto l’origine biologica di queste reazioni verificatesi in soggetti sotto stress da isolamento.
Del resto, che l’uomo sia un animale sociale lo sapevano già gli antichi greci. Però gli scienziati di oggi sono arrivati a verificare come si modifica il cervello quando un individuo rimane da solo per un periodo prolungato. Le loro osservazioni sono state fatte su topi da cui viene dedotto un comportamento simile a quello degli umani. Le emozioni di paura e le reazioni di aggressività sarebbero dovute alla produzione in eccesso di neuropeptide.
via The Scientist
Un nuovo studio sull’isolamento prolungato pubblicato dalla rivista Cell ha messo in luce nuove scoperte sul comportamento umano e le sue reazioni neuronali.
I ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) hanno osservato il campione di un elevato numero di topi per una serie di periodi continuativi. Un tipo di osservazione che si è basato inizialmente sul controllare le reazioni dei comportamenti dei ratti. Come postulato di fondo, c’è l’evidenza che l’isolamento prolungato produce in animali sociali come i topi effetti molto simili a quelli prodotti nell’uomo.
Il lavoro si è svolto in varie fasi. Inizialmente sono stati separati alcuni individui dalla loro società. Questi topi sono stati tenuti in isolamento per un periodo di due settimane. Poi, sono stati nuovamente inseriti nel loro branco. Questi singoli individui reintrodotti nel gruppo, dopo essere stati tenuti a lungo lontani dal contatto con altri animali, mostravano segni di aggressività nei confronti dei loro simili, paura e ipersensibilità agli stimoli cui venivano sottoposti.
Il singolo topo, una volta disturbato, rimaneva immobile per un tempo molto più lungo rispetto agli altri anche una volta terminato lo stimolo. Una reazione comune a tutti i soggetti tenuti in isolamento per due settimane, ma non per le cavie rimaste senza contatti con l’esterno per sole 24 ore.
Per essere un po’ più tecnici, i ricercatori hanno osservato che nei ratti il gene della tachichinina Tac2 codifica un neuropeptide chiamato neurochinina B (NkB). Questa coppia Tac/Nkb viene prodotta dai neuroni in specifiche regioni del cervello degli animali come l’amigdala e l’ipotalamo, coinvolte nelle emozioni e nel comportamento.
Quindi, usando delle sostanze chimiche che alterano la produzione di questo tipo di neuropeptidi si possono verificare dei cambiamenti importanti per i topi. Se un simile intervento possa essere esteso anche all’essere umano è troppo presto per dirlo. Tuttavia, qualora le ricerche si rivelassero promettenti, potrebbero aprirsi strade nuove per capire meglio i disturbi della socialità tipici dell’autismo o anche della schizofrenia.
Una ricerca, insomma, per comprendere se i neuroni della corteccia prefrontale umana possano essere target di terapie specifiche.