Perché le aragoste diventano rosse dopo la cottura? E davvero vanno bollite vive?

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di Gianmarco Bonomo

19 Ottobre 2023

Perché le aragoste diventano rosse dopo la cottura? E davvero vanno bollite vive?

Ti sei mai chiesto perché le aragoste diventano di un colore rosso vivo quando vengono cucinate, o perché è necessario bollirle vive? In entrambi i casi, la risposta non è ovvia e riguarda non solo le aragoste, ma anche altri tipi di crostacei. Cerchiamo di capire quali sono le ragioni scientifiche dietro queste pratiche e quali sono le alternative possibili.

Perché le aragoste diventano rosse dopo la cottura?

Perché le aragoste diventano rosse dopo la cottura?

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Il colore rosso assunto da crostacei come l’aragosta durante la bollitura è un fenomeno molto interessante. Di norma, infatti, le aragoste hanno un esoscheletro che si presenta in varie tonalità di blu, verde e grigio. Responsabili di questi colori sono diversi pigmenti presenti nel corpo dell’aragosta. Ma cosa avviene durante la cottura?

La risposta sta nel carotenoide noto come astaxantina, ossia il responsabile del colore rosso dell’aragosta. Quando infatti il crostaceo viene bollito, le alte temperature distruggono tutti i pigmenti. Tutti, tranne uno, l’astaxantina, che quindi rimane l’unico colore dell’aragosta.

Peraltro, l’astaxantina è un pigmento che ha molte proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Non solo resiste bene il calore, tanto da determinare il colore rosso di un’aragosta appena cotta, ma è anche liposolubile. Di conseguenza, può essere assorbito dal corpo umano. A consigliarne l’assunzione sono alcune ricerche, che suggeriscono come l’astaxantina agisca come antiossidante e riduca lo stress ossidativo.

Non solo le aragoste: altri animali che cambiano colore durante la cottura

Non solo le aragoste: altri animali che cambiano colore durante la cottura

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La maggior parte degli animali non subisce variazioni cromatiche durante la cottura, a parte l’aragosta e altri crostacei. Infatti, l’astaxantina è presente anche in diversi crostacei come i granchi e i gamberi. In entrambi i casi, la cottura distrugge tutti i pigmenti e lascia intatto soltanto il carotenoide che rende il carapace di questi animali di un colore rosso vivo. Proprio come quello delle aragoste.

A questo proposito, potresti pensare che qualcosa non torna. Il pigmento rosso viene liberato soltanto dopo la cottura, eppure i fenicotteri rosa sono di questo colore perché mangiano gamberetti crudi. Come mai? Nei crostacei, l’astaxantina è legata a una proteina che si chiama crustacianina. Quando i fenicotteri ingeriscono i piccoli gamberetti, il processo digestivo porta a separare le due molecole, liberando il colore rosso e portando al rosa di questi uccelli.

Perché le aragoste vengono cucinate vive?

Perché le aragoste vengono cucinate vive?

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Per rispondere a questa domanda, bisogna innanzitutto separare le ragioni scientifiche da quelle empiriche, e poi riconoscere che sempre più attori stanno valutando soluzioni alternative. Partendo dalle ragioni empiriche, molti chef sostengono che la carne dell’aragosta possa diventare più stopposa se non viene cotta mediante bollitura da viva. Si tratta della loro esperienza e come tale va rispettata.

Allo stesso tempo, però, la pratica di bollire vive le aragoste per cucinarle ha anche ragioni scientifiche. La carne di questo e di altri crostacei è naturalmente ricca di batteri potenzialmente pericolosi per l’uomo. Uccidere un’aragosta molto tempo prima di cucinarla può favorire la proliferazione di questi batteri e mettere a rischio la salute alimentare. Il rischio è quello di contrarre la vibriosi, una malattia che può portare a spiacevoli problemi intestinali e altre conseguenze, compresa l’amputazione di un arto in seguito alla decomposizione dei tessuti.

Il dibattito è tuttavia sempre più aperto, con due posizioni ormai contrapposte: da una parte chi preferisce continuare a bollire le aragoste vive; dall’altra parte chi suggerisce di ucciderle immediatamente prima della cottura o stordirle. In questo modo, sarebbe possibile causare il minimo dolore possibile senza dover rinunciare a un piatto da molti considerato prelibato.