Gli alieni potrebbero già sapere che esistiamo, ma non possono dircelo: lo pensano gli scienziati
Nel corso dell’ultimo secolo, la Terra ha lanciato quotidianamente segnali radio nello spazio. Le comunicazioni con i satelliti sono uno degli esempi più ovvi, come anche le normali comunicazioni radio della prima metà del 900. In linea teorica questi segnali radio possono essere captati da civiltà extraterrestri, che sarebbero portate quindi a rispondere e interagire con noi. Ammesso che non l’abbiano già fatto.
Perché gli alieni potrebbero sapere già che esistiamo
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Prima di vedere in modo più approfondito quali sono le conseguenze della nostra marcata presenza nello spazio, è bene fare una precisazione. Se esiste la vita extraterrestre intelligente, allora non avrà particolari difficoltà a individuarci. Nel XX secolo l’umanità ha trasmesso segnali radio nello spazio in modo diretto o indiretto. Nella prima metà del 900, per esempio, i trasmettitori radio dovevano compensare la tecnologia primitiva che animava i ricevitori. L’era delle grandi esplorazioni, iniziata con le sonde Voyager 1 e 2, ha invece dato inizio alla comunicazione diretta fuori dal nostro pianeta.
Insomma: lo spazio è pieno di segnali radio inviati dagli esseri umani del pianeta terra. Se a questi aggiungiamo anche la nostra presenza con le sonde nello spazio interplanetario e interstellare, si comprende facilmente perché gli alieni potrebbero sapere già che esistiamo. Per non parlare delle analisi, simili a quelle usate dall’essere umano per individuare gli esopianeti, che mostrerebbero subito che la Terra è abitata.
Se esistono, gli alieni possono contattarci?
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Ecco, già questo passo successivo della comunicazione con eventuali civiltà extraterrestri intelligenti è un po’ più complesso. In un recente studio, il prof. Avi Loeb dell’Università di Harvard ha tentato di rispondere alla domanda del titolo. Innanzitutto, ha considerato il numero di pianeti simili alla terra in orbita attorno a stelle simili al Sole in un raggio di 100 anni luce con centro sulla Terra. Perché questa distanza? Perché i segnali radio, viaggiando quasi alla velocità della luce, possono aver raggiunto quella distanza, e non oltre. In pratica, Loeb ha concluso che la probabilità di aspettarsi una risposta ai nostri messaggi radio nello spazio è inferiore 1 su 10 milioni. Non tantissimo.
Eppure, una speranza c’è, anche se non per noi. Nei prossimi secoli, infatti, i segnali radio continueranno a viaggiare per la galassia e potrebbero incontrare, prima o poi, delle civiltà in grado di rispondere. Se anche queste ultime volessero comunicare con noi allo stesso modo, dovremmo aspettare altre centinaia, se non migliaia di anni. Insomma: l’Universo è un luogo immenso.
Si può superare il paradosso di Fermi o siamo davvero soli?
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Il paradosso di Fermi è piuttosto conosciuto in astronomia. Il ragionamento alla base è che, dato l’enorme numero di stelle nell’universo osservabile, è naturale pensare che la vita si sia sviluppata in moltissimi pianeti. Eppure, dove sono tutte queste civiltà? Il paradosso di Fermi esprime quindi il conflitto fra la vastità dell’universo e il fatto che siamo sostanzialmente soli.
Per stimare il numero di civiltà aliene che potrebbero popolare la galassia, e superare il paradosso di Fermi, si impiegano formule come l’equazione di Drake. In particolare, uno studio dell’Università di Oxford ha impiegato dati casuali per sviluppare l’equazione, ma i risultati sono stati incostanti. Cosa vuol dire? Che non abbiamo ancora gli strumenti, la tecnologia, le conoscenze teoriche e le variabili giuste per dimostrare che gli alieni esistono. Oppure, che siamo davvero soli nello spazio: soli, con un universo che ci ghosta.
https://arxiv.org/pdf/2108.01690.pdf
https://arxiv.org/pdf/1806.02404.pdf
https://www.bbc.com/future/article/20231024-how-aliens-might-detect-our-existence-on-earth