Avere a 80 anni il cuore di un 50enne: è questo il luogo in cui nessuno muore d'infarto
Come testimonia uno studio pubblicato su una nota rivista di finanza, la Bloomberg L.P., l'Italia è il paese con l'indice di salute complessivamente migliore al mondo. In quanto a quella specifica del cuore, però, nessuno al mondo sembra fare meglio di una popolazione indigena boliviana chiamata Tsimané, residente nel dipartimento più grande ma meno popoloso del paese, quello settentrionale di Beni. Uno studio svolto dall'American College of Cardiology e pubblicato su The Lancet, rivela che sono proprio loro a conquistare la vetta della classifica stilata dai cardiologi.
via theguardian.com
Un ottantenne tsimané ha il cuore di un cinquantenne americano.
Probabilmente non è lo stile di vita che un occidentale sceglierebbe di condurre ma di sicuro a livello di salute ci si guadagnerebbe.
Gli Tsimané hanno una dieta composta principalmente di carboidrati non raffinati (72%), mentre le proteine rappresentano il 14% e sono composte di 38 grammi al giorno circa di grassi, di cui solo 11 grammi sono saturi (sono quelli che aumentano l'incidenza di malattie cardiovascolari; il consumo raccomandato è di 15-22 grammi al giorno). Il loro consumo di carne è ridotto (inclusa quella di pesce rappresenta il 24% dell'alimentazione totale), ma per procurarsela devono cimentarsi in impegnative battute di caccia che possono durare anche 8 ore e coprire distanze superiori ai 18 chilometri al giorno. Per il resto gli Tsimané ricorrono principalmente all'agricoltura di sussistenza, consumando colture locali come mais, radici di manioca e platano, riso, frutta e noci, e fumano pochissimo.
Il risultato di questo stile di vita pre-industriale si concretizza in bassi livelli di colesterolo LDL, glicemia e pressione sanguigna, tutti elementi che rendono il problema dell'aterosclerosi coronarica (ispessimento della parete arteriosa) sostanzialmente assente e gli Tsamané praticamente "immuni" da ictus e infarti. Su 705 persone sottoposte a tomografia computerizzata, il 90% di loro non incorrevano in alcun rischio di malattia cardiovascolare; fra gli ultra-settantacinquenni la percentuale si abbassa al 65%, ma rimangono numeri che in occidente sono fantascienza (in Europa il 45% dei decessi è dovuto proprio a esse).